La Cassazione con l’ordinanza n. 9143/2020, depositata in cancelleria il 19 maggio 2020, ha ribadito che, nei procedimenti concernenti l’affidamento dei minori a seguito della separazione dei genitori, i criteri fondamentali che il giudice è chiamato a seguire sono essenzialmente due: l’interesse del minore e il principio di bigenitorialità. La Corte di Cassazione ha inoltre ricordato che laddove nel corso del procedimento di affidamento dei minori risultino pendenti procedimenti penali a carico di uno dei genitori in seguito all’esercizio dell’azione penale da parte dall’altro genitore, il giudice civile può accertare i fatti con pienezza di cognizione, potendo valutarli criticamente in modo autonomo e «senza essere vincolato dalle soluzioni e dalle qualificazioni adottate dal giudice penale».
Il fatto
La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato avverso il decreto della Corte d’Appello di Lecce depositato l’8 aprile 2019 e riguardante un procedimento ex art. 333 c.c.
La vicenda esaminata dalla Cassazione riguarda una coppia non sposata che si è separata pochi mesi dopo la nascita del figlio.
Nel 2019 il padre del bambino ha presentato ricorso ex art. 333 c.c. al competente Tribunale per i Minorenni, chiedendo l’esclusione della capacità genitoriale dell’ex compagna e una riorganizzazione delle competenze genitoriali. Nel costituirsi, la madre del bambino ha affermato che il figlio rifiutava la figura paterna per aver assistito a numerosi episodi di violenza del padre contro la madre. Il Tribunale per i Minorenni, con decreto dell’11/01/2019, ha disposto il collocamento del minore e del padre presso un’idonea comunità educativa. La donna ha proposto reclamo avverso il provvedimento del Tribunale per i Minorenni alla competente Corte d’appello di Lecce.
Durante il procedimento innanzi alla Corte d’appello è stato posto in rilievo il fatto che già nel 2015 il Tribunale per i Minorenni si era occupato del caso, disponendo, in seguito alla presentazione sempre di un ricorso ex art. 333 c.c., l’affidamento del minore al Servizio sociale di riferimento e suggerendo ai genitori l’immediato avvio di un percorso di mediazione, percorso mai iniziato dalla coppia a causa dell’alto livello di conflittualità. La donna, inoltre, aveva sporto denuncia nei confronti dell’ex compagno per maltrattamenti in famiglia e per lesioni personali.
La Corte d’Appello ha ritenuto di dover rigettare il reclamo presentato dalla donna, la quale ha poi presentato ricorso in Cassazione, affidandolo a tre motivi.
I motivi del ricorso
Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 337 ter c.c., dell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dell’art. 32 cost., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti ‒ a causa del mancato accertamento degli stessi in sede penale ‒ i maltrattamenti e le violenze posti in essere dall’ex compagno.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alla valutazione delle soluzioni alternative possibili per il collocamento del minore e delle risultanze probatorie che avevano escluso
la condotta ostruzionistica della madre. In particolare, la ricorrente ha affermato che l’interesse superiore del minore avrebbe imposto un bilanciamento fra rischi e benefici delle diverse soluzioni e la formulazione di un giudizio prognostico circa il recupero del rapporto genitoriale e la capacità dei genitori di riprendere il ruolo educativo ed affettivo.
Infine, con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione degli artt. 26 e 31 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, per essere stato disposto il collocamento del minore assieme al padre senza considerare gli episodi di violenza che erano alla base delle denunce penali sporte dalla donna verso l’ex compagno.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati il primo ed il terzo motivo e inammissibile il secondo e pertanto ha rigettato il ricorso, compensando integralmente le spese processuali.
Rapporto fra giudizio civile e giudizio penale
Nell’esaminare il primo motivo di impugnazione, la Cassazione ha ricordato il principio di autonomia e separazione, che è alla base della vigente disciplina dei rapporti fra processo civile e processo penale e secondo cui «il processo civile, anche se riguardante un diritto il cui riconoscimento dipenda dall’accertamento degli stessi fatti materiali che costituiscono oggetto di un giudizio penale» prosegue il suo corso «senza essere influenzato da quest’ultimo». Ne consegue che il giudice civile «pur potendo utilizzare gli elementi di prova acquisiti in sede penale» può accertare autonomamente i fatti con pienezza di cognizione «sottoponendoli al proprio vaglio critico, senza essere vincolato dalle soluzioni e dalle qualificazioni adottate dal giudice penale». Nel caso in esame, la Cassazione, pur avendo riconosciuto l’errore da parte della Corte territoriale che ha richiamato impropriamente la presunzione d’innocenza (in quanto questa opera solo in ambito penale), ha tuttavia ritenuto che la stessa nella sua decisione non abbia escluso la rilevanza dei comportamenti penalmente rilevanti, valutando gli stessi sotto il profilo della potenziale dannosità per lo sviluppo psicofisico del minore.
Pertanto, anche nel respingere il terzo motivo di impugnazione, la Cassazione ha messo in evidenza come la soluzione individuata nel decreto impugnato abbia tenuto in debita considerazione sia gli episodi di violenza lamentati, sia l’interesse del minore, che concretamente ha richiesto l’individuazione di misure volte a garantire, da una parte, la sicurezza del minore (di qui la decisione del collocamento non presso il padre ma in una struttura educativa) e dall’altra il recupero del rapporto padre-figlio (di qui la decisione di collocare il padre nella struttura educativa assieme al figlio).
Interesse del minore e principio di bigenitorialità
Nel respingere il secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha ribadito l’importanza che assumono l’interesse del minore e il principio di bigenitorialità nella valutazione che deve fare il giudice per decidere in ordine all’affidamento e al collocamento del minore.
L’interesse del minore assume un ruolo fondamentale ed è criterio esclusivo di orientamento delle scelte affidate al giudice e nel ricordare questo la Cassazione ha richiamato l’orientamento ormai consolidato, per cui «il giudizio prognostico da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità», anche nei casi, come quello in esame, caratterizzati da un alto livello di conflittualità. Per la Cassazione, infatti, pur riconoscendo la necessità di considerare tutta una serie di elementi relativi alla situazione antecedente la separazione (es: come sono stati assolti i compiti genitoriali; capacità di entrambi i genitori alla relazione affettiva, alla comprensione, all’educazione; disponibilità al dialogo; ambiente sociale e familiare che entrambi i genitori possono offrire ai figli ecc.), ciò che deve essere posto in primo piano è «l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’esistenza del figlio, in quanto idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione del minore». Nel caso di specie, il decreto impugnato, a giudizio della Cassazione, si è attenuto puntualmente ai criteri sopra indicati.
La sentenza in esame si pone dunque in continuità con il consolidato e pienamente condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui i figli hanno il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, senza dunque essere coinvolti direttamente o indirettamente nei litigi familiari e nelle vicende relative alla separazione. Come ricordato dalla Cassazione in altre pronunce, anche di recente, il principio di bigenitorialità non deve però essere tradotto in un’esatta parità dei tempi di frequentazione, in quanto anche con riferimento a quest’ultimo aspetto deve essere individuata dal giudice la soluzione più adatta al singolo caso concreto. In altri termini, il principio bigenitorialità non presuppone affatto la previsione di tempi paritari di frequentazione, bensì l’effettiva presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli. Si prescinde dunque dalla “quantità” di tempo trascorso da ciascun genitore con il figlio per dare maggiore risalto alla “qualità” della relazione.