L’art. 33, c. 3 della Legge n.104/1992 stabilisce che “(…) colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno”[1].
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte in merito alla legittimità del licenziamento disciplinare comminato dal datore di lavoro per l’utilizzo improprio dei permessi di cui all’art. 33 della citata legge, ossia per esigenze diverse dall’assistenza al familiare disabile e quindi estranee a quelle previste dalla legge.
Un primo aspetto problematico riguarda la legittimità dei c.d. controlli occulti “difensivi” effettuati dal datore di lavoro tramite agenzie investigative e miranti ad accertare l’eventuale abuso del diritto da parte del lavoratore.
Spesso accade infatti che il datore di lavoro dia ad un’agenzia investigativa l’incarico di accertare se il suo dipendente stia utilizzando in modo improprio i permessi ponendo quindi in essere una condotta illecita.
Si evidenzia che il controllo datoriale sul corretto svolgimento della prestazione lavorativa è infatti delimitato dalle norme poste a tutela della libertà e dignità del lavoratore (L. n. 300/70), a perseguire scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3). Tuttavia non è precluso al datore di lavoro di avvalersi di altri soggetti (es. agenzia investigativa) per effettuare controlli sul lavoratore di natura difensiva allorquando vi sia un sospetto o anche la mera ipotesi che siano in corso di esecuzione dei fatti di reato, purché i controlli siano limitati all’accertamento della commissione degli stessi e non riguardino invece l’adempimento o il mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore (cfr. Cass. n. 15094/2018[2]).
Un ulteriore nodo critico riguarda la modalità e la forma con cui viene prestata l’assistenza da parte del congiunto del disabile assistito.
Infatti, mentre non v’è dubbio che si configuri l’abuso del diritto in caso di utilizzo del permesso per fini personali (si pensi al caso di partecipazione ad un concorso nel giorno di fruizione del permesso), si discute se sia configurabile l’utilizzo improprio dei permessi ex L. 104/92 in caso di svolgimento di attività nell’interesse del disabile che però non siano tali da implicare l’assistenza diretta alla persona.
L’assistenza al disabile non deve pertanto identificarsi esclusivamente con quella personale: essa può ben esplicitarsi in attività connesse a specifici interessi ed utilità dell’assistito, come ad esempio l’acquisto di medicine o la prenotazione di esami diagnostici, lo svolgimento di commissioni, l’incontro con un professionista per la gestione di pratiche dell’assistito. Si tratta di attività legittime che si possono compiere nel tempo di fruizione dei permessi sempre che sia fornita la prova del loro svolgimento nell’interesse dell’assistito, come affermato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 23891 del 2018[3].
Sempre la Corte di Cassazione in una pronuncia molto recente (cfr. Cass. sez.lav. n. 22/01/2020, n. 1394[4]) ha ribadito che l’assistenza può essere prestata, con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o attività di qualsiasi genere, purché espletate nell’interesse del familiare assistito. È tuttavia necessario precisare che l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione diretta con l’esigenza di assistere il disabile, altrimenti, qualora si trattasse di incombenze che non hanno nulla a che vedere con l’assistenza al familiare, si configurerebbe l’ipotesi dell’abuso del diritto, il che darebbe luogo, oltre al licenziamento per giusta causa, anche a possibili conseguenze penalmente rilevanti.
[1] Il Governo con il c.d. Decreto Rilancio ha di recente aumentato il numero dei giorni complessivi per chi assiste un familiare disabile estendendoli per i mesi di maggio e giugno 2020 fino a 12 giorni oltre ai 3 giorni al mese previsti dalla legge (cfr. art. 73 D.L. 19 maggio 2020, n. 34)
[2] Cassazione civile sez. lav. – 11/06/2018, n. 15094
[3] Ordinanza Cass. 02/10/2018, n. 23891
[4] Cass. sez. lav. 22/01/2020, n. 1394
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