Il fenomeno dei lavoratori poveri o “working poors” ha assunto dimensioni preoccupanti in Italia, come emerge dal recente rapporto pubblicato lo scorso gennaio dal Gruppo di Lavoro “Interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia” istituito con Decreto ministeriale n. 126 del 2021 e prima ancora dal rapporto UGL Censis del mese di maggio 2021.
Il fenomeno riguarda un quarto dei lavoratori italiani che ha una retribuzione individuale bassa (ossia inferiore al 60 % della media). In particolare, secondo l’Eurostat ben l’11,8 % dei lavoratori italiani si trova in una condizione di povertà.
Il concetto di lavoratore povero comprende due dimensioni: 1) la prima concerne l’occupazione del singolo lavoratore, in particolare la retribuzione, la stabilità lavorativa e le specifiche caratteristiche del rapporto di lavoro; 2) la seconda riguarda la composizione del nucleo familiare del lavoratore.
Si evidenzia che le cause del fenomeno non sono dovute esclusivamente alla bassa retribuzione, sebbene il problema sia molto grave in Italia, visto che tra il 1990 ed il 2020 nel nostro paese si è registrato un calo del salario medio del 2,9 %, mentre negli altri paesi europei in media è aumentato.
Il dato che emerge è che in Italia il rischio di povertà lavorativa è molto significativo, specie tra i lavoratori stagionali, i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale e tra quelli autonomi. Inoltre il rischio aumenta notevolmente nei nuclei familiari in cui c’è solo un percettore di reddito.
Un altro grave problema che contribuisce al fenomeno della povertà lavorativa è costituito dai cosiddetti “contratti pirata”, ossia quegli accordi stipulati da alcune imprese e rappresentanze sindacali “di comodo” che derogano in peius ai minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva.
La Commissione di studio ha elaborato quattro proposte per combattere la povertà lavorativa: 1) garantire minimi salariali adeguati; 2) rafforzare la vigilanza documentale; 3) introdurre un in-work benefit; 4) incentivare il rispetto delle norme da parte delle aziende e aumentare la consapevolezza di lavoratori e imprese; 5) promuovere una revisione dell’indicatore UE della povertà lavorativa.
La prima proposta comporta diverse azioni alternative: a) l’estensione a tutti i lavoratori della disciplina dei contratti collettivi; b) l’introduzione di un salario minimo per legge (nell’area UE il salario minimo esiste in 21 paesi su 27); c) sperimentazioni limitate a specifici settori.
La seconda proposta riguarda il rafforzamento dell’attività ispettiva mentre la terza implica l’aumento di un trasferimento reddituale specifico per lavoratori poveri (in Italia solo il 50% dei lavoratori poveri riceve un trasferimento a fronte del 50 % del livello UE). La quarta proposta ha per oggetto l’introduzione di iniziative per incentivare le imprese a corrispondere salari adeguati. Infine la quinta proposta ha per oggetto la revisione degli indicatori per stabilire la platea dei lavoratori poveri nell’UE.
Alla luce di tanto, al fine di dare attuazione all’art. 3 Cost. e all’art. 36 Cost, che stabiliscono rispettivamente il principio di uguaglianza e quello della giusta retribuzione del lavoratore, un intervento normativo per sostenere i lavoratori poveri appare estremamente urgente anche per sostenere i redditi, visto il notevole aumento dell’inflazione nell’ultimo anno (4,6 % a gennaio 2022).