La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11636 del 16/06/2020, è recentemente tornata ad occuparsi dei presupposti e degli effetti della riconciliazione, ribadendo che è onere del resistente sollevare la relativa eccezione e fornire le prove necessarie. Il giudice non può rilevare d’ufficio la riconciliazione, dal momento che la stessa non investe profili di ordine pubblico ma unicamente aspetti attinenti al rapporto tra i coniugi.
IL FATTO
Il sig. C.E.A. presentava ricorso per lo scioglimento del matrimonio contratto con la sig.ra E.E.L.C.
Il giudice di primo grado, all’esito del giudizio, dichiarava la domanda improcedibile ritenendo che, dopo la separazione consensuale del 2003, fosse intervenuta la riconciliazione tra i coniugi.
Il sig. C.E.A. proponeva quindi appello avverso la sentenza del Tribunale alla competente Corte d’Appello di Milano che tuttavia, con sentenza del 17 luglio 2017, rigettava l’impugnazione e confermava quanto statuito in primo grado.
A sostegno della decisione, la Corte d’appello metteva in evidenza alcune circostanze rilevanti, fra cui: 1. dalle testimonianze era risultata la convivenza dei coniugi nella casa familiare assieme ai figli dopo la separazione consensuale del 2003 e in tal modo si sarebbe così realizzata la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita; 2. sotto il profilo meramente processuale, mentre la sig.ra E.E.L.C. aveva eccepito la riconciliazione fornendo le relative prove, il ricorrente non aveva invece richiesto, con la seconda memoria istruttoria ex art. 183 sesto comma c.p.c., prove volte a dimostrare la persistenza della condizione di separazione; i capitoli di prova dedotti dal sig. C.E.A. con la terza memoria istruttoria vertevano su circostanze poco rilevanti e non idonee a contrastare le specifiche deduzioni avversarie; 4. dalle testimonianze era emerso che era stato proprio l’uomo ad insistere con la moglie ed i figli affinché tornassero a vivere con lui nella casa familiare; 5. Dalle testimonianze era inoltre risultato che contrariamente a quanto affermato dall’uomo, la moglie e i figli non erano andati a vivere nella dependance della villa ma erano tornati a stare proprio nella casa familiare assieme a lui e la convivenza si era poi interrotta nel 2012 a seguito di una relazione extraconiugale instaurata dall’uomo con un’altra donna.
Il sig. C.E.A. proponeva dunque ricorso per Cassazione affidandolo a tre motivi. Primo motivo: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 157 c.p.c. e 2697 c.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 157 c.c., della L. n. 898 del 1970, art. 3, n. 2, lett. b e art. 2909 c.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La Cassazione, ritenendo infondate tutte le doglianze del ricorrente, ha rigettato il ricorso.
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