La Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 16930 del 12/08/2020 è tornata ad occuparsi della questione della legittimità del licenziamento del lavoratore comminato per l’utilizzo improprio del permesso ex art. 33 comma 3 della Legge n.104/1992 per l’assistenza ad un parente disabile. L’ordinanza in esame è interessante per la peculiarità della fattispecie.
IL CASO
Una società decide di licenziare una propria dipendente per l’asserito utilizzo abusivo del permesso ex art. 33 L. n. 104/92. Il datore di lavoro contesta l’assenza ingiustificata, lamentando il fatto che la lavoratrice si sia trattenuta presso l’abitazione del fratello da lei assistito per soli 20 minuti e che per il restante periodo abbia trascorso il tempo del permesso presso la propria abitazione.
La lavoratrice aveva infatti chiesto un permesso ex art. 33 della L. n. 104/92 perché doveva andare a prendere il fratello disabile e trascorrere con lui la vigilia di Natale. Nel corso del giudizio sono state provate le seguenti circostanze: nella giornata in contestazione la lavoratrice era rimasta a casa per l’intera mattina a disposizione del fratello; l’assistito aveva chiamato la sorella per dirle che non si sentiva bene e che sarebbe uscito prima dal lavoro e che l’avrebbe richiamata per farsi venire a prendere. Successivamente il fratello decideva di recarsi autonomamente a casa propria per poi venire raggiunto dalla sorella che restava con lui per circa 20 minuti.
La Cassazione, confermando quanto già statuito dalla Corte di Appello di Genova, ha accolto le ragioni della lavoratrice, respingendo il ricorso della Società.
IL PRINCIPIO AFFERMATO DALLA CASSAZIONE
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, per “assistenza al disabile” non deve intendersi esclusivamente quella prestata di persona[1] o quella diretta: essa infatti può ben esplicitarsi in attività connesse a specifici interessi ed utilità dell’assistito, come ad esempio l’acquisto di medicine o la prenotazione di esami diagnostici, lo svolgimento di commissioni o l’incontro con un professionista per la gestione di pratiche dell’assistito[2].
L’ordinanza in commento[3] è importante in quanto ha chiarito che ai fini del legittimo utilizzo dei permessi ex art. 33 L. n. 104/92 è sufficiente la sussistenza del nesso di causalità tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile: soltanto ove quest’ultimo venga del tutto a mancare si è in presenza di un utilizzo improprio o di un abusodel diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo, che integra la giusta causa del licenziamento oltre a poter eventualmente determinare la responsabilità del dipendente anche in sede penale.
L’illecito è pertanto configurabile, come è già stato chiarito dalla giurisprudenza, allorquando il lavoratore utilizzi le ore di fruizione del permesso, ad esempio, per le vacanze ovvero per partecipare ad attività di interesse personale (es. concorso).
Nella fattispecie in esame gli Ermellini hanno ritenuto – a mio avviso correttamente – che il comportamento della lavoratrice non abbia comportato una lesione dei doveri di correttezza e di buona fede contrattuale, essendo stata provata la sussistenza del rapporto di causalità tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile. Detta assistenza era infatti stata effettuata comunque dalla lavoratrice per quasi tutta la mattina del permesso, seppure in modalità “a distanza”, ossia restando a disposizione del fratello durante il tempo del permesso. In sintesi, per la Cassazione il fatto di restare a disposizione del parente assistito per il quale è stato chiesto il permesso assume rilievo e soddisfa le condizioni previste dalla legge in materia.
[1] Ordinanza Cass. 02/10/2018, n. 23891
[2] Cass. sez. lav. 22/01/2020, n. 1394
[3] Ordinanza Cass. 12/08/2020, n. 16930