La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 186 del 31/07/2020, ha dichiarato l’illegittimità della disposizione che preclude l'iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo, di cui al decreto legge n. 113 del 2018 (c.d. decreto sicurezza), per violazione dell’articolo 3 della Costituzione.
L’art.13 del suddetto decreto - con cui era stato novellato il disposto degli artt. 4 e 5 del D.lgs 18 agosto 2015 n. 142 - prevedeva che il permesso di soggiorno non costituisse titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e che l’accesso ai servizi erogati sul territorio secondo le norme vigenti fosse assicurato nel luogo di domicilio anziché in quello di residenza dei richiedenti il diritto di asilo.
Il Caso
Il Tribunale di Milano Prima Sezione Civile ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme sopra citate per violazione degli artt. 2, 3, 10, 77 comma 2, 117, comma 1 della Costituzione nonché in relazione agli artt. 14 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e dell’art. 2, paragrafo 1 del Protocollo n. 4 della medesima.
Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito il Comune di Milano, il quale ha chiesto il riconoscimento di inammissibilità delle questioni sollevate e fondate con argomentazioni in gran parte coincidenti con quelle del Tribunale rimettente. Inoltre si sono costituiti in giudizio: A.H., cittadino siriano, titolare del permesso di soggiorno per richiesta di asilo, ricorrente nel giudizio principale per la dichiarazione di invalidità del provvedimento che gli aveva negato l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente nel Comune di Milano, l’ASGI e l’Associazione Avvocati per Niente Onlus, le quali erano intervenute anche nel procedimento principale in senso adesivo rispetto alle domande proposte dal ricorrente nel giudizio principale e concludevano chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dal giudice rimettente. Oltre al Tribunale di Milano, anche i Tribunali ordinari di Ancona Sezione prima e di Salerno Sezione civile feriale hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 1 bis del Dlgs 18 agosto 2015 n. 142 introdotto dall’art. 113, comma 1, lett. a) n. 2 del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113 convertito in legge 1 dicembre 2018 n. 132 per violazione degli artt. 2, 3, 10, 16, 77 comma secondo, 117 comma primo della Costituzione quest’ultimo in riferimento all’art. 14 CEDU, all’art. 2 par. 1 del Protocollo n. 4 CEDU, nonché in riferimento agli artt. 12 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966.
Il principio affermato dalla Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per “irrazionalità intrinseca”, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto legge n.113 del 2018; per “irragionevole disparità di trattamento”, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti.
Riguardo al primo profilo, la novella introdotta dall’art. 13 del “decreto sicurezza”, si pone in contrasto con l’art. 6 comma 7 D.lgs n. 286 del 1998[1], oltre che con la stessa finalità perseguita dal legislatore in quanto “impedendo l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, finisce con il limitare la capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul territorio”. A riguardo è interessante che la Corte, nella motivazione, faccia riferimento tra l’altro alla situazione di emergenza sanitaria, affermando che “la necessità di un controllo e di un monitoraggio della residenza sul territorio degli stranieri rileva (..) anche ai fini sanitari poiché è sulla base dell’anagrafe dei residenti che il comune può avere contezza delle effettive presenze sul suo territorio ed essere in condizione di esercitare in maniera adeguata le funzioni attribuite al sindaco dall’art. 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 soprattutto in caso di emergenze sanitarie circoscritte al territorio comunale”.
Il secondo profilo di censura ritenuto meritevole di accoglimento da parte della Corte Costituzionale concerne l’irragionevole disparità di trattamento e la lesione della pari dignità sociale “riconosciuta dall’art. 3 Cost. alla persona in quanto tale a prescindere dal suo status e dal grado di stabilità della sua permanenza regolare nel territorio italiano”.
La Corte Costituzionale ribadisce poi il consolidato orientamento secondo cui “la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento” (C. Cost. 104/1969, richiamata dalle pronunce successive, sentenze n. 144/1970, n. 177/1974, n. 244/1974, n. 62/1994, n. 245/2011, e ordinanze n. 503/1987, n. 490/1988).
Tuttavia secondo la Consulta la norma censurata nel caso in esame opera nei confronti dei richiedenti asilo un trattamento peggiorativo senza una ragionevole giustificazione, essendo la registrazione anagrafica “la conseguenza del fatto oggettivo della legittima dimora abituale in un determinato luogo”. La temporaneità del soggiorno dei richiedenti asilo non può quindi giustificare il rifiuto di iscrizione anagrafica da parte dei Comuni, perché per lo stesso motivo dovrebbero allora essere esclusi dalla registrazione – ma così non è ‒ anche gli stranieri regolari titolari di permessi di durata limitata che potrebbero non essere rinnovati. Infine, si ritiene significativa l’ultima parte della motivazione, in cui la Corte ha ritenuto che nella fattispecie vi sia stata violazione dell’art. 3 comma primo della Costituzione con riferimento alla “lesione della connessa pari dignità sociale” sulla base del principio che “lo status di straniero nonpuò essere di per sé considerato come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi”. Infatti, sempre secondo la Consulta, il rifiuto di iscrizione anagrafica da parte del Comune rende ingiustificatamente più arduo l’accesso dei richiedenti asilo ai servizi, dal momento che le modalità di erogazione dei medesimi fanno quasi sempre riferimento alla residenza anagrafica ed alla sua certificazione la quale garantisce maggiore certezza rispetto al luogo di domicilio, il cui accertamento comporta maggiori difficoltà di individuazione.
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[1] “La norma prevede che “le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abitualmente anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell’avvenuta iscrizione o variazione l’ufficio dà comunicazione alla questura territorialmente competente”.