Articolo già pubblicato sul sito del Centro Studi Livatino
1. La deontologia forense consiste nel complesso delle regole di condotta che gli avvocati sono tenuti ad osservare nell’esercizio dell’attività professionale e nella vita privata[1]. Per l’art. 2 del Codice Deontologico Forense (CDF), “le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi; si applicano anche ai comportamenti nella vita privata, quando ne risulti compromessa la reputazione personale o l’immagine della professione forense”. Si tratta dunque di norme che non hanno soltanto rilevanza morale, come per lungo tempo si è sostenuto nei dibattiti in materia, bensì pure giuridica. Come precisato dal Consiglio Nazionale Forense (CNF) – l’organismo che rappresenta l’avvocatura italiana ‒ l’avvocato, nell’attività di difesa dei propri clienti, deve osservare rigorosamente le norme disciplinari e agire con probità, dignità, decoro, lealtà, correttezza e indipendenza, sia nei rapporti con i colleghi che nei confronti delle parti, “tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa” (art. 9 CDF).
Gli avvocati che si occupano di questioni relative alla famiglia e alla tutela dei minori devono agire con la massima diligenza e devono osservare con particolare scrupolo il dovere di competenza di cui all’art. 14 del CDF, secondo cui “l’avvocato, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali, non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza”. A tal proposito la Corte costituzionale, intervenuta con riferimento a un procedimento di adozione, ha affermato che nei procedimenti minorili i professionisti devono essere “in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere” (Corte cost., sentenza n. 178 del 22/06/2004).
2. È proprio questo uno dei doveri su cui occorre fare chiarezza. All’avvocato che si occupa di famiglia e minori non è richiesto soltanto di conoscere le norme sostanziali e procedurali in materia, bensì di avere quella formazione multidisciplinare indispensabile per valutare, caso per caso, le conseguenze delle scelte difensive, soprattutto nei procedimenti in cui sono coinvolti minori. La competenza richiesta in questi casi ricomprende anche la capacità di entrare nelle vicende familiari con una sensibilità particolare: l’avvocato deve comprendere le emozioni del proprio assistito ma senza farsi travolgere dalle stesse; deve assistere con diligenza la parte, mettendo però in primo piano gli interessi degli eventuali figli minori; deve agire con la consapevolezza che nelle cause di diritto di famiglia non vi sono né vinti né vincitori, e che il successo professionale deriva semmai dall’essere riusciti a far comprendere alle parti la necessità di mettere da parte le ostilità personali per il bene dei figli.
La funzione sociale dell’avvocato, nel settore del diritto di famiglia e minorile, risulta quindi ancora più evidente, in quanto nell’esercizio dell’attività di difesa del cliente deve tener conto anche delle esigenze delle altre parti e dei possibili effetti negativi che determinate istanze o scelte processuali – magari anche astrattamente legittime – possano determinare nei rapporti fra le stesse.
Ciò significa che l’avvocato familiarista, anche di fronte a richieste fondate, è comunque chiamato a una rigorosa valutazione prognostica, con l’obiettivo di favorire il dialogo fra le parti e di salvaguardare il rapporto genitoriale, nel preminente interesse dei figli minori. La piena attuazione del fondamentale principio di bigenitorialità, alla base dell’affidamento condiviso, esige infatti la collaborazione dei genitori, che a sua volta presuppone il mantenimento del dialogo rispettoso fra le parti. A tal fine, l’avvocato deve pertanto agevolare il superamento delle ostilità, sconsigliando per esempio al proprio assistito una determinata azione nei confronti della controparte che potrebbe portare ad un irrigidimento delle posizioni, favorendo al contempo, attraverso la collaborazione del legale di controparte, una ricomposizione bonaria. A maggior ragione, l’avvocato ha il dovere di non assecondare richieste infondate o strumentali che, oltre a non trovare accoglimento, rischierebbero di alimentare il conflitto.
3. Un ulteriore aspetto su cui riflettere concerne la comunicazione, soprattutto in presenza di minori. Per favorire la collaborazione fra genitori può essere utile dare delle indicazioni al proprio assistito su come comunicare in maniera corretta con l’altro genitore: talvolta la sofferenza, la delusione, lo stress causati dalla separazione possono portare le parti a sottovalutare l’importanza di mantenere un tono cordiale nelle comunicazioni verbali o scritte. L’uso di espressioni sbagliate può invece pregiudicare la serenità del dialogo e con essa la possibilità che le parti riescano a cooperare. L’avvocato deve pertanto agire anche su questo fronte, che se appare secondario in altri settori del diritto è invece particolarmente rilevante nelle questioni familiari e minorili.
Ne consegue che, se l’avvocato patrocini in queste materie, assume una maggiore pregnanza il dovere di evitare espressioni sconvenienti ed offensive dell’art. 52 CDF, per cui “l’avvocato deve evitare espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi”; non solo perché l’avvocato deve dare “il buon esempio” ai propri assistiti, ma soprattutto perché le espressioni inadeguate (es. aggressive, offensive, denigratorie ecc.) alimentano inevitabilmente il conflitto fra le parti. Formulare negli atti processuali un’accusa infondata o un giudizio denigratorio verso la controparte – oltre a essere irrispettosa del ruolo che si esercita ‒ può determinare un danno irreparabile alla relazione genitoriale (e a poco serve la richiesta di stralcio una volta che certe affermazioni sono entrate nel processo).
4. Considerazioni analoghe possono farsi per il dovere di verità, che impone in generale all’avvocato di non introdurre o utilizzare nel procedimento “prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi” (art. 50 nn. 1-2)[2] e di non rendere “false dichiarazioni sull’esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza” (art. 50 n. 5)[3]. Ebbene, l’avvocato che difenda un genitore in un procedimento di separazione, divorzio, regolamentazione dei rapporti genitoriali o in un procedimento minorile, deve osservare scrupolosamente il dovere di rappresentare al Giudice i fatti in maniera completa e veritiera, ponendo in primo piano la salvaguardia degli interessi dei minori coinvolti rispetto alle esigenze di difesa del proprio assistito. A tal ultimo proposito giova osservare che il Giudice, per poter prendere provvedimenti effettivamente rispettosi delle esigenze del singolo minore coinvolto, ha la necessità di valutare la situazione per quello che è realmente: una rappresentazione lacunosa o non veritiera dei fatti da parte di uno o di entrambi i genitori può comportare l’adozione di provvedimenti inadeguati per il minore, se non addirittura lesivi del suo interesse.
Per usare un’efficace espressione del Tribunale di Milano, gli avvocati, assumendo la difesa dei genitori, si impegnano altresì a proteggere e a operare nell’interesse dei figli, in quanto nel processo “hanno non solo il dovere ma invero l’obbligo di svolgere un ruolo protettivo del minore, arginando il conflitto invece che alimentarlo” (Trib. Milano Sez. IX, 23/03/2016 – Est. G. Buffone).
Rispetto al precedente codice deontologico del 1997 – che conteneva poche e generiche prescrizioni relative al diritto di famiglia – l’attuale Codice, approvato dal CNF nel gennaio 2014, prevede invece specifici riferimenti alla materia, in linea con le cautele da adottare nei procedimenti in materia di diritto di famiglia indicate nel 2010 dal Consiglio d’Europa nelle “Linee guida per una giustizia a misura di minore”.
Più precisamente, è stato inserito l’obbligo per l’avvocato di garantire l’anonimato dei minori (art. 18 n. 2 e art. 57 n. 2)[4]; il divieto di assistere un coniuge o convivente contro l’altro se in precedenza li abbia assistiti congiuntamente in controversie di natura familiare (art. 68 n. 4)[5] o di assistere i genitori se in precedenza abbia assistito il minore (art. 68 n. 5)[6]; il divieto per l’avvocato di ascoltare un minore senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale (art. 56 n. 1); il dovere per l’avvocato che assiste un genitore in una controversia di natura familiare o minorile di astenersi “da ogni forma di colloquio e contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto delle stesse” (art. 56 n. 2); specifici doveri di richiedere l’autorizzazione agli esercenti la responsabilità genitoriale per l’avvocato difensore nel procedimento penale prima di “conferire con persona minore, assumere informazioni dalla stessa o richiederle dichiarazioni scritte” (art. 56 n. 3).
5. Particolari raccomandazioni sono state di recente formulate dal Consiglio Nazionale Forense per gli avvocati curatori speciali dei minori, anche in ragione delle novità introdotte dalla Riforma del processo civile che, con riferimento al curatore speciale del minore, a cui sono stati attribuiti anche poteri di rappresentanza sostanziale, sono entrate in vigore il 22 giugno 2022.
Il Consiglio Nazionale Forense ha sottolineato la necessità che gli avvocati nominati curatori speciali dei minori agiscano nel pieno rispetto dei principi generali di cui all’art. 9 CDF[7]. Più precisamente, sono stati messi in rilievo i seguenti doveri: di indipendenza dal Giudice e dalle parti “svolgendo il proprio ruolo nel solo e preminente interesse del minore nel rispetto anche dei diritti garantiti allo stesso dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali”, di competenza professionale attraverso una formazione multidisciplinare adeguata e l’aggiornamento costante; di correttezza e lealtà “in collaborazione con tutte le parti e nell’interesse del minore”. Viene inoltre raccomandato agli avvocati curatori speciali dei minori di assumere “con tempestività”, subito dopo la nomina, “le informazioni necessarie”, nonché ascoltare il minore, esaminare gli atti e i documenti e procedere al deposito della costituzione in giudizio “nel preminente interesse del minore e nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, partecipando personalmente alle udienze”.
[1] Anche le condotte che non riguardano l’esercizio della professione possono assumere valenza deontologica se, come chiarito dal Consiglio Nazionale Forense, “compromettano l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria”; cf. CNF, decisione n. 81 del 24 giugno 2020. Nel caso posto a base di tale pronuncia il CNF ha ritenuto rilevante sotto il profilo deontologico – applicando la sanzione disciplinare della sospensione dell’esercizio della professione per 2 mesi ‒ la condotta dell’avvocato che si era appropriato del portafogli di un terzo che lo aveva dimenticato all’ingresso degli uffici della Procura. Con la sentenza n. 145/2015 il CNF ha comminato la sanzione disciplinare della sospensione dell’esercizio dell’attività professionale per 2 mesi all’avvocato ultrà condannato per aver preso parte a disordini fra tifosi e appartenenti alle forze dell’ordinel. È stato inoltre sanzionato con la sospensione dell’esercizio dell’attività professionale per 6 mesi l’avvocato che ha omesso di pagare il mantenimento dei figli violando gravemente i doveri genitoriali (CNF, sentenza n. 177/2018).
[2] In caso di violazione è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 1 a 3 anni (art. 50 n. 7).
[3] In caso di violazione è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 1 a 3 anni (art. 50 n. 7).
[4] In caso di violazione è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 2 a 6 mesi (art. 57 n. 3).
[5] In caso di violazione è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 2 a 6 mesi (art. 68 n. 6).
[6] In caso di violazione è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 1 a 3 anni (art. 68 n. 6).
[7] Art. 9 CDF – Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza.
1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.
2. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense.