Con una recente ordinanza la Corte di Cassazione si è occupata della configurabilità del lavoro straordinario nel rapporto di lavoro domestico (Corte di Cassazione sez. VI Civile, Ordinanza 20 ottobre n. 28703).
Il caso in esame
La Corte di Appello di Genova aveva rigettato per difetto di prova la richiesta di differenze retributive effettuata da parte di una collaboratrice domestica a tempo pieno e in regime di convivenza presso la famiglia per le esigenze assistenziali della madre non autosufficiente della datrice di lavoro.
La badante proponeva ricorso per Cassazione avverso la decisione del giudice di secondo grado con più motivi contestando la volontarietà e la gratuità delle prestazioni lavorative effettuate nei giorni festivi.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto fondato su motivi inidonei a contrastare il fondamento della decisione della Corte di Appello che aveva escluso che nei fine settimana fosse stata prestata attività lavorativa da parte della badante la quale era rimasta, anche dopo la morte dell’assistita, a convivere nella casa virtù di un contratto di comodato d’uso gratuito concessole dai familiari.
Il Giudice di legittimità ha rilevato che dalle circostanze dedotte in giudizio potesse desumersi che la permanenza della domestica nella casa di abitazione fosse di natura volontaria e che ciò non implicasse quindi lo svolgimento di prestazioni lavorative anche perché nei giorni contestati era sempre il figlio dell’assistita non convivente ad occuparsi della madre.
La pronuncia in commento appare utile perché offre l’occasione di rammentare su chi gravi l’onere della prova nelle controversie di lavoro aventi per oggetto la richiesta di corresponsione di differenze retributive derivanti dallo svolgimento di ore di lavoro straordinario. Secondo il principio stabilito dall’art. 2697 c.c. è il lavoratore che ha l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro e, ove egli riconosca di aver ricevuto una retribuzione ma ne deduca l’insufficienza, è altresì tenuto a provare il numero di ore effettivamente svolto, senza che eventuali ammissioni del datore di lavoro siano idonee a determinare una inversione dell’onere della prova.
Riguardo alla prova che deve fornire il lavoratore la giurisprudenza di legittimità ha un orientamento piuttosto rigoroso. La Suprema Corte, seguendo un consolidato indirizzo, ha infatti affermato che “sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell’onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice” (Nella specie, era stata ritenuta generica la deduzione di aver “lavorato oltre l’orario di lavoro” senza percepire “quanto dovuto a titolo di lavoro straordinario” nonché la richiesta di liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 36 Cost. cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 16150 del 19/06/2018 ).