Per domani, 27 maggio, è prevista la convocazione – finalizzata all’elezione del Presidente, dei Vicepresidenti e dei Segretari ‒ della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori. Si attendeva ormai da mesi l’avvio delle attività della Commissione, istituita con la legge n. 107 del 2020 e votata a grande maggioranza (un solo voto contrario contro 402 favorevoli), a dimostrazione dell’interesse suscitato dalla materia, a prescindere dall’appartenenza politica.
Scopo principale della Commissione è quello di far luce sugli affidi dei minori, su cui da tempo i professionisti del settore hanno rilevato la necessità di maggiori controlli ed interventi da parte delle istituzioni. Una questione, quella degli affidi, che è stata posta sotto i riflettori in seguito ai casi di affidi illeciti che hanno suscitato preoccupazione nell’opinione pubblica e su cui la magistratura sta indagando.
La Commissione è composta, secondo l’art. 2 della legge istitutiva, da 20 deputati e 20 senatori scelti rispettivamente dal Presidente della Camera e dal Presidente del Senato ed ha ampi poteri di indagine. Fra i compiti ad essa affidati, in particolare, vi è quello di verificare le condizioni dei minori presso gli affidatari e le comunità di tipo familiare, nonché quello di verificare il numero dei provvedimenti emessi dai Tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330 e 333 del cod. civ., ossia i provvedimenti di limitazione o decadenza dalla responsabilità genitoriale e di allontanamento dei minori dalla propria famiglia. La Commissione si occuperà anche di verificare il rispetto di un principio fondamentale in tema di affidi, vale a dire il principio della temporaneità dei provvedimenti di affidamento: quando la famiglia di origine (sia il nucleo ristretto che quello allargato, comprendente nonni, zii e cugini) non è temporaneamente in grado di assicurare al minore le cure di cui ha bisogno, diventa necessario affidare quest’ultimo alle cure di un’altra famiglia o alle cure di un istituto, se non vi è una famiglia disponibile o in grado di accoglierlo, con l’obiettivo di far tornare il minore presso il suo nucleo familiare una volta superate le difficoltà. Ne consegue che la temporaneità dei provvedimenti è strettamente legata agli interventi posti in essere dai Servizi sociali per il recupero ed il sostegno dei genitori in difficoltà, argomento da tempo sollevato e che, si auspica, diventi oggetto di particolare attenzione da parte della Commissione, proprio al fine di realizzare compiutamente gli obiettivi che sono alla base della sua istituzione.
Assieme ai compiti di controllo sull’andamento degli affidatari e delle strutture delle comunità di tipo familiare, è attribuita alla Commissione, ai sensi dell’art. 3 lett. h) della legge istitutiva, anche la funzione di “valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l’allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale …”.
È proprio questo l’aspetto centrale della questione relativa agli affidi dei minori. Gli episodi di cronaca sugli affidi illeciti ‒ da Bibbiano a Sagliano Micca, dal Forteto alla Bassa Modenese ecc. ‒ hanno portato alla luce le criticità di un sistema già da tempo rilevate dagli operatori del settore e in quanto tale bisognoso di opportuni interventi.
Ciò non significa mettere in discussione l’istituto dell’affido previsto dalla Legge n. 184 del 1983 e riformato dalla Legge n. 173 del 2015 (che ha dato risalto al principio di continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare), bensì mettere in discussione il sistema che non ha consentito, in alcuni casi, la piena attuazione dell’istituto, tradendo lo scopo principale dello stesso, ossia quello di tutelare il minore garantendogli nell’immediato le cure necessarie e favorendo al contempo il suo rientro in famiglia. Il preambolo della Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ricorda che ogni fanciullo, per sviluppare in modo armonioso e completo la propria personalità, ha bisogno di crescere in un ambiente che sia familiare e che gli offra “un clima di felicità, di amore e di comprensione”.
Purtroppo non tutti i nuclei familiari sono in grado di offrire le cure, le attenzioni e l’amore di cui hanno bisogno i bambini per crescere in modo sano ed equilibrato ed è per questo che è stato previsto l’istituto dell’affido, che non ha natura sanzionatoria nei confronti dei genitori, bensì natura di strumento volto a tutelare i minori. Sempre la Convenzione ONU del 1989, all’art. 9, afferma chiaramente che è diritto del minore che sia stato separato da uno o da entrambi i genitori “intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti” con gli stessi, “a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo”, elemento che deve quindi essere sempre valutato con attenzione caso per caso.
La tutela dei minori appartenenti a nuclei familiari fragili impone pertanto di individuare soluzioni in grado di risolvere le diverse problematiche relative all’affidamento, in modo che questo istituto consista davvero in un’extrema ratio e non in una soluzione a cui l’autorità possa ricorrere a sua discrezione, anche in assenza di fondate ragioni. Si tratta quindi di procedere per priorità e senz’altro in cima alla lista, come sopra si è fatto cenno, non può che esservi l’intervento di sostegno e aiuto da parte dei Servizi sociali alle famiglie più a rischio, peraltro già previsti dalla stessa Legge n. 184 del 1983, che all’art. 1, dopo aver espressamente enunciato il diritto del minore a “crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”, al comma 2 ha precisato che “a tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”.
Di conseguenza, è al contempo fondamentale garantire le risorse economiche necessarie affinché i Servizi possano in concreto operare sul territorio ed intervenire prima che le situazioni degenerino: è evidente che se un nucleo familiare a rischio viene adeguatamente aiutato dai Servizi quando ancora la situazione non è tale da allontanare il minore dalla sua famiglia, è possibile, realmente, sia rispettare il diritto del minore a crescere nel proprio nucleo di origine, sia attuare il principio dell’affidamento quale extrema ratio e il principio della temporaneità dei provvedimenti. Ma non solo. È altrettanto importante destinare risorse umane ed economiche alla formazione delle persone che hanno manifestato la volontà di prendere in affidamento un minore. Si tratta infatti di un compito molto delicato, che esige un’adeguata preparazione ad affrontare situazioni che possono essere difficili da gestire, in quanto i minori che vengono allontanati dalle proprie famiglie hanno un proprio vissuto, spesso molto doloroso, che richiede un adeguato approccio da parte degli affidatari. Del resto, la stessa Legge sugli affidi sopra citata, all’art. 2 comma 1 bis, ha ritenuto opportuno prevedere la possibilità che gli enti locali promuovano “la sensibilizzazione e la formazione di affidatari”.
Nel 2019 il Garante infanzia ed adolescenza, nella persona della Dott.ssa Filomena Albano, ha segnalato alle Autorità competenti tutta una serie di misure necessarie per realizzare la piena tutela dei minori, mettendo in rilievo, ad esempio, l’urgenza di disciplinare i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale secondo i principi del giusto processo e quindi garantire il diritto dei genitori ad essere informati e potersi difendere in giudizio, garantire la nomina del curatore speciale o dell’avvocato per il minore, stabilire dei termini perentori in modo da contemperare le esigenze di rapidità e le esigenze di assicurare un’istruttoria adeguata, assicurare che tutti i provvedimenti relativi alla responsabilità dei genitori siano motivati e circostanziati. Il Garante ha inoltre posto l’accento sull’importanza di implementare il sistema informativo unitario dei Servizi sociali (SIUSS), in modo da rendere disponibili agli operatori i dati relativi ai minori privi di un ambiente familiare, quelli relativi al numero e tipologia di strutture di accoglienza presenti sul territorio e quelli relativi agli affidatari.
L’argomento è poi stato ripreso dalla Dott.ssa Carla Garlatti, che ricopre la carica di Garante infanzia e adolescenza dallo scorso mese di gennaio, la quale ha più volte sottolineato l’esigenza che non vi siano segreti sulle relazioni dei Servizi sociali relative agli allontanamenti dei minori: i genitori devono essere messi nelle condizioni di conoscere le ragioni che hanno determinato l’allontanamento, in modo da poter esplicitare la propria posizione ed offrire un quadro di valutazione più ampio circa il contesto in cui è inserito il minore, soprattutto al fine di individuare i provvedimenti che possano effettivamente realizzare il suo interesse.
Nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza dello scorso mese di febbraio, la Dott.ssa Garlatti ha altresì rilevato che rispetto ad altri Paesi, come ad esempio la Francia o la Germania, l’Italia è il Paese che allontana di meno i minori e questo, secondo il Garante, può significare due cose: o che le famiglie italiane hanno meno problemi o, ipotesi più plausibile, che in Italia vi sono meno controlli da parte delle Autorità preposte. Nel corso dell’audizione, il Garante ha inoltre indicato alcuni interventi che andrebbero attuati al più presto, fra cui quello di rafforzare in concreto la funzione originaria dell’istituto dell’affido ed effettuare, attraverso le procure della Repubblica, maggiori controlli sulle comunità di accoglienza. Allo scopo di rendere il controllo più rapido ed efficace sarebbe altresì auspicabile la realizzazione di una banca dati nazionale sui minori fuori famiglia.
A tal ultimo proposito, è interessante considerare i dati raccolti dal Ministero della Giustizia nell’ambito di un monitoraggio effettuato dopo il caso di Bibbiano e che ha coinvolto tutti gli uffici giudiziari minorili. Ebbene, dalla ricerca è emerso che tra gennaio 2018 e giugno 2019 sono stati allontanati dalle proprie famiglie di origine circa 12.338 minori (0,13% dei minori italiani) e nello stesso periodo circa 1.540 minori fra quelli allontanati (il 12%) hanno fatto rientro a casa, mentre dei restanti minori, ossia circa 9 su 10 (l’88%), è rimasta ignota la destinazione. Questo dato mette in luce un altro difetto del sistema che deve essere corretto, anche attraverso le banche dati di cui si è detto: attualmente infatti i tribunali per i minorenni non individuano le comunità in cui inserire i minori, in quanto questo compito spetta agli enti locali che lo esercitano attraverso i Servizi sociali. Il problema però si crea nel momento in cui non vi è dialogo fra i Servizi ed il tribunale, specie quando i minori vengono spostati in altre strutture rispetto a quelle precedentemente individuate senza che ne venga data notizia al tribunale: allo stato attuale, di quei minori diventa difficile individuare la struttura ove sono stati collocati.
Altri argomenti importanti circa gli affidi sono quelli della prevenzione e della formazione specifica degli operatori che si occupano di minori, su cui in particolare è intervenuto più volte anche il Garante infanzia ed adolescenza del Lazio, Avv. Jacopo Marzetti, che ha messo in luce anche l’importanza di azioni comuni da parte dei diversi Garanti regionali che si occupano della tutela dei minori. L’istituzione della Commissione d’inchiesta può dunque essere l’occasione per dare impulso a tutti gli interventi che da tempo sono stati ritenuti necessari e che, come si è visto, da ultimo, sono stati formalmente richiesti anche dall’Autorità Garante infanzia ed adolescenza. Il primo intervento, importante, che dovrebbe essere attuato dalla politica è senz’altro quello di prevedere adeguate risorse economiche da investire nel sostegno delle famiglie più fragili e, quindi, nella formazione degli Assistenti sociali e nel loro stesso aumento sul territorio, specie nei contesti più difficili.